A) Le origini
B) Il ramo sinistro
C) Il ramo destro
D) Descrizione
E) Le immagini
F) Bibliografia e Contributi
A) LE ORIGINI
Fin dal II secolo d.C. esistevano molini sul fianco del Gianicolo, che da San Pietro in Montorio scende ripido verso il Tevere, e sfruttavano la caduta dell’acqua che l’imperatore Traiano aveva derivato dalla zona dei monti Sabatini. (fig.A1)
Durante l’assedio dei Goti a Roma nel 537 d.C., Vitige ordinò il taglio degli acquedotti per impedire l'arrivo dell'acqua potabile alla città; la mancanza d’acqua fermò anche i molini del Gianicolo che furono riattivati, in una nuova posizione, solamente nel XVII secolo quando papa Paolo V Borghese (1607-1612) costruì l’acquedotto che porta il suo nome (acqua Paola) convogliando l’acqua del lago di Bracciano. (fig.A2)
La forzata inattività dei molini portò alla nascita delle mole del Tevere: infatti, come testimonia Procopio di Cesarea, il generale bizantino Belisario, inviato dall'imperatore Giustiniano a presidio della città, sfruttò la corrente del fiume costruendo i primi molini galleggianti, realizzati ancorando alle due sponde coppie di barche con una ruota in mezzo che, azionata dalla corrente, faceva girare le macine collocate nelle barche stesse.
I molini furono collocati subito a valle di Ponte Sisto, in un tratto di fiume che presentava la caratteristica di essere l’unico racchiuso dalle mura da entrambi i lati e quindi militarmente protetto, inoltre si trovava vicino al Gianicolo e questo agevolò il trasferimento delle mole.
Da qui i molini si svilupparono all’Isola Tiberina, divenendo così parte del paesaggio teverino per più di 1300 anni fino alla vigilia dei lavori di arginatura.
Da alcuni resti recuperati presso i piloni del Ponte Neroniano, presso Castel S.Angelo, (una mola, una catena e alcune tavole del barchino) è stato possibile ricostruirne un modellino in scala. (fig.A3)
B) IL RAMO SINISTRO
Le più antiche tracce delle mole tiberine si riferiscono al ramo sinistro del fiume, comunque meno sfruttato di quello destro in conseguenza del ridotto deflusso delle acque in quel ramo.
Presenti già in citazioni del ‘300, le prime testimonianze grafiche sono un disegno di anonimo Escurialense (tratto da uno di Giuliano da Sangallo), databile fra il 1485 e il 1514 (fig.B1), che rappresenta tre molini sul braccio sinistro del Tevere subito a monte di Ponte Fabricio e un’incisione di Hieronymus Cock del 1530-34 (fig.B2) che rappresenta due mole contrapposte anch’esse subito a monte del Ponte Fabricio, una ancorata alla riva sinistra e l’altra all’isola.
Tutte le raffigurazioni successive rappresentano una sola mola, o due affiancate, ma ancorate più a monte sulla riva della Regola.
In particolare due mole sono rappresentate da Silvestro Peruzzi (1564-65) e dal Maggi (1625) (fig.B3); quest’ultimo le raffigura, chiaramente fuori scala, ancorate di fronte a S.Vincenzo e Anastasio alla Regola, più a monte di dove, probabilmente, fossero nella in realtà.
Una sola mola è invece presente nelle piante di Antonio Tempesta (1593), Matteo Greuter (1618), G.B.Falda (1676) (fig.B4) e G.B.Nolli (1748). (fig.B5)
Tale mola è conosciuta (1620) come «mola di S.Andrea al Portone delli Hebrei», in quanto era situata in corrispondenza di una delle 5 porte, ben visibili nelle pianta del Falda e del Nolli, che chiudevano il Ghetto ebraico costituito con Bolla Papale nel 1555. Le porte furono definitivamente scardinate solo nel 1848.
Anche Andrea Chiesa, ingegnere bolognese, incaricato insieme al Gambarini di studiare il Tevere, riferì nel 1745 che nel ramo sinistro del fiume all’altezza dell’isola v’era un solo molino, detto «Mola di Ghetto», collocato in corrispondenza della punta ovest dell’isola e quindi sotto a Monte Cenci come si vede dalla pianta del 1746. (fig.B6)
L’ultima citazione di questo molino è datata 1810; il molino, dunque, scomparve del tutto all’inizio dell’Ottocento.
L'ultimo molino di cui si ha notizia nel ramo sinistro è la cosiddetta "mola terragna" cioè collocata a terra sull'isola (non galleggiante). Essa era censita ai civici 43 e 44 in "via delle mole di S.Bartolomeo". Se ne trova traccia negli "Specchi Dimostrativi" del macinato (v. anche par.D) a partire dal 1826 con il nome di "Giuditta" e la sua posizione è identificabile nella pianta del Lanciani di fine '800 (fig.B7) in cui è visibile anche la lunga passonata per incanalare le acque.
C) IL RAMO DESTRO
Molto più numerosi sono sempre stati i molini nel ramo destro del fiume, più largo e dotato di portata maggiore, dove le ultime mole sono state rimosse solo in occasione del rifacimento degli argini dopo la grande piena del 1870. Il Ponte Cestio stesso deve uno dei suoi nomi, "Ponte Ferrato", (v. immagine E6) proprio alle tante catene di ormeggio dei molini che lo circondavano.
Spesso i molini venivano strappati via dalla forza della corrente, pertanto non è raro trovare rappresentate nelle piante del tempo le sole rampe di accesso in muratura senza il molino. Nella pianta di A.Tempesta (1593) se ne vedono 4 (due più una rampa all'isola e un molino ancorato a Trastevere); in quella del Maggi (1625) (fig.C1) tre rampe senza molini tutte all'isola. Il Falda (1676) (fig.C2) ne rappresenta addirittura 6, due all'isola e ben quattro sulla sponda di Trastevere; nella pianta del Falda e nelle successive compaiono anche due mole contrapposte subito a valle di Ponte Rotto. Anche il Nolli (1748) (fig.C3) mostra 6 molini ma tre all'isola e due più una rampa a Trastevere. Tali posizioni corrispondono esattamente a quanto rappresentato due anni prima (1746) dal Chiesa.
Nella figura C4, elaborata sulla base della pianta del Lanciani (1893-1901) sono riportate le posizioni dei molini ricavate dai documenti disponibili.
Le mole avevano nomi propri, spesso di Santi: una parziale ricostruzione delle loro posizioni, e limitatamente a quelle più recenti, è stata possibile sfruttando i documenti esistenti quali i "brogliardi
", le mappe del catasto Pio Gregoriano, gli Specchi Dimostrativi (SD - v. anche par.D) quotidiani della Soprintendenza del Macinato e gli scritti del Cialdi e del Moroni. Le mole erano classificate secondo la Custodia di appartenenza: quelle ancorate all'isola appartenevano alla Custodia dell'Isola, quelle sulla sponda di Trastevere alla Custodia di S.Bonosa.
Nella tabella sono indicate le citazioni relative ai singoli molini ed il rispettivo anno:
1823 | 1826 | 1834 | 1838 | 1845 | 1855 |
[1] il Cialdi indica solo la presenza di 5 mole galleggianti sul ramo destro tra l'isola e Trastevere, più una sulla riva (è la mola terragna Giuditta descritta al paragrafo B) |
|
Fonte |
SD | SD | SD | Cialdi | Moroni | ||
Cust. ISOLA |
[3] |
[4] |
[1] |
[2] |
I brogliardi e le mappe del catasto Pio Gregoriano censiscono solo i manufatti permanenti (isolati urbani); tuttavia la dicitura spesso adottata è del tipo: "...incontro alla mola di..." per cui è stato possibile individuare le mole di S.Francesco, SS.Annunziata e S.Maria situate rispettivamente "incontro" agli isolati II, III e IV dell'isola (v. fig.C5 ricavata dalla pianta di G.B.Nolli del 1748).
Infine, dal fatto che l'incisione dell'Acquaroni che rappresenta un molino a valle di Ponte Cestio ancorato a Trastevere (v. immagine E4) è databile intorno al 1820, tale molino è identificabile con S.Agostino in quanto in quell'anno quello S.Nicola si trovava ancora ancorato all'isola.
D) DESCRIZIONE
I molini erano costituiti da una coppia di zattere galleggianti affiancate: sulla più grande, la più vicina alla riva, erano alloggiate le macine all'interno della caratteristica "casetta", spesso sormontata da una croce. Tra le due zattere era supportata la ruota a pale. Il principio di funzionamento è illustrato nell'animazione realizzata dall'ITIS Meucci di Roma. Le zattere erano ancorate alle rive con lunghe catene; una rampa in muratura e una passerella di legno permettevano l'accesso dalla riva. (fig.E1 e A3).
In ogni molino venivano impiegate mediamente quattro persone: due "caricatori" che trasportavano con animali da soma il grano e la farina, un "servitore" che operava alla mola ed era addetto alle riparazioni e un generico "garzone" per i servizi vari.
In un molino venivano macinati ogni giorno circa 4500 kg di grano e la produzione veniva regolarmente registrata dall'amministrazione annonaria negli Specchi Dimostrativi di cui ci restano i dati dal 1823 al 1845. (fig.D1)
Nella chiesa di S. Bartolomeo, sull'isola Tiberina, i mugnai romani stabilirono la sede religiosa della loro corporazione, "Romana Molendinariorum", costruendovi anche una cappella decorata con scene della loro attività (fig.E9); una lapide tuttora ricorda uno dei numerosi restauri. (fig.D2)
I molini ostacolavano il regolare flusso dell'acqua e spesso la forza della corrente spezzava gli ancoraggi e li trascinava a valle con effetti disastrosi. Già a metà del 1700 si propose di spostarli a valle della città e nel 1870 la commissione ministeriale dei Lavori Pubblici considerò la presenza dei molini galleggianti tra le cause delle inondazioni del Tevere. Con la piena del dicembre 1870 e la successiva costruzione dei muraglioni i molini sul Tevere scomparvero definitivamente.
E) LE IMMAGINI
F) BIBLIOGRAFIA E CONTRIBUTI
[1] Cesare D'Onofrio "Il Tevere" - Romana Società Editrice - 1980
[2] AAVV "La nave di Pietra" - catalogo mostra - Electa - 1983
[3] Gaetano Moroni "Dizionario di erudizione storico - ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni" - Tipografia Emiliana - Venezia, 1855
- Per le immagini A1 e A2 ringrazio Katherine Rinne
- Per le immagini E10 e E11 ringrazio Kalervo Koskimiehen
La realizzazione di questa sezione è stata possibile grazie al fondamentale contributo del testo:
Umberto Mariotti Bianchi
Roma Sparita: I molini del Tevere
Ediz. Babuino - Roma 1976