Isola Tiberina
Storia
ISOLA TIBERINA (detta anche Lycaonia, di S. Bartolomeo, dei Due Ponti).
L'isola Tiberina fu anticamente chiamata semplicemente Insula oppure "Insula inter duos pontes"; successivamente fu detta anche "Lycaonia" nel medioevo (forse per la presenza sul Ponte Cestio di una statua rappresentante questa regione dell'Asia Minore, che divenne provincia nel 373 d.C.) e "di S. Bartolomeo" (dal nome della chiesa) nel '600-'700.
Dovuta, secondo la leggenda, all'accumulo di fango sulle messi di Tarquinio il Superbo gettate nel Tevere dai Romani quando lo cacciarono, è in realtà tufacea, come i vicini colli.
Guado naturale, fu determinante per il costituirsi di insediamento stabili sulle alture circostanti e venne collegata alla terraferma da due ponti verosimilmente dapprima lignei e poi (sec. I) in muratura (gli attuali ponti Fabricio e Cestio), uniti da una via (vicus Censorii).
Luogo di culto per varie divinità, fu dedicata principalmente al dio della medicina Esculapio, il cui serpente, portato a Roma da Epidauro per debellare la peste del 293 a.C., saltando dalla nave che lo trasportava avrebbe ridisceso il Tevere dai Navalia del Campo Marzio fino all'isola scomparendo poi nel luogo dove fu costruito il nuovo tempio, inaugurato nel 289 a.C. Attorno al tempio, come ad Epidauro, dovevano sorgere dei portici destinati al ricovero dei fedeli malati, ed è certamente singolare che l'isola abbia continuato ad essere luogo di cura e sede di un ospedale attraverso il Medioevo fino ai nostri giorni.
Altri santuari minori occupavano il lato settentrionale dell'isola: quelli di Fauno e di Veiove, dedicati ambedue nel 194 a.C., erano probabilmente vicini tra loro; un sacello di Iuppiter Iurarius (garante del giuramento) sorgeva in corrispondenza della chiesetta di S. Giovanni Calibita, dove fu scoperto un mosaico con il nome della divinità. Da un'iscrizione si deduce anche il culto di Bellona, detta Insulensis.
La leggenda e il profilo dell'isola suggerirono la sistemazione del perimetro esterno in forma di nave da guerra, con arginature e terrapieno attrezzate per gli ormeggi e con un obelisco come albero maestro, due frammenti del quale sono conservati nel Museo Nazionale di Napoli ed un terzo a Monaco. Era interamente costruita in travertino, lunga in asse 280 m., larga 76.
Nel Medioevo lo spoglio e il generale degrado del fiume ne alterarono la fisionomia con la formazione per distacco di un isolotto verso monte (rinsaldato nel 1791); alla fine del '500 la tradizione sanitaria dell'isola, favorita anche dalla presenza di una fonte d'acqua ritenuta salutare, fu rinverdita con la costruzione del primo nucleo dell'ospedale (1548) e tutta l'area divenne lazzaretto durante la peste del 1656.
Profondamente alterata dalla sistemazione degli argini alla fine dell'800 (quando se ne ipotizzò l'eliminazione), dalla manomissione del ponte Cestio e dalla ricostruzione dell'ospedale, ha però mantenuto il carattere di appartato luogo di cura e di culto.
L'estremità a monte della banchina è stata recentemente allungata collegandola al pilone centrale del Ponte Garibaldi per meglio regolarizzare il flusso delle acque.